16 aprile 2013

La celiachia: un concorso di colpa tra glutine e geni

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La vita di un celiaco può sembrare un tormento, ma la vita di chi si arrischia a invitarne uno a cena può diventare ancora più miserabile. Tolti il pane, la pasta, la pizza (ma anche il pangrattato, la farina, i biscotti, etc.) non resta praticamente niente da cucinare a parte riso e patate, o gli sconfortanti e carissimi prodotti per celiaci.
 
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Cibi senza glutine: Neanche un cane ne mangerebbe. Da Comic, eh?

Eppure c’è chi, non contento di essere vegetariano, vegano o addirittura crudista, decide di vivere senza glutine, per una pregnante scelta pseudo-salutista o per sfuggire all’ultima trappola di una multinazionale senza scrupoli.

Ma per chi è celiaco, la scelta non c’è: bisogna rinunciare al glutine.
Nei casi più gravi, infatti, la celiachia può causare una deprimente sequela di sintomi. Innanzitutto a livello intestinale, con diarrea o stitichezza croniche e una infelice produzione di feci grasse, di colore chiaro e di aroma impestante. A osservarla al microscopio, la parete interna dell’intestino appare piuttosto sconvolta ed è infatti incapace di assorbire come dovrebbe le sostanze nutritive, portando a lungo andare a conseguenze che vanno dall’anemia all’osteoporosi.

Colpevole di tutto questo disastro è il glutine, una elastica e resistente miscela di proteine che si trova nel grano e in molti altri cereali.
Il problema del glutine è proprio la sua notevole resistenza. Le proteine di cui è fatto, a causa della particolare combinazione di amminoacidi che le compongono, non possono essere digerite nello stomaco e giungono in massa nell’intestino, nel quale danno tutto sommato poco fastidio. Però, in qualche maniera, le proteine del glutine riescono a passare attraverso la parete dell’intestino e sboccano nei tessuti interni, dove vengono raccattate dalle cosiddette cellule dendritiche.

Le cellule dendritiche funzionano più o meno come delle informatrici di polizia: sono sparse un po’ dappertutto, osservano quello che succede e fanno delle soffiate alle colleghe cellule del sistema immunitario per avvisarle quando c’è in giro qualcosa di pericoloso o, al contrario, qualcosa di innocuo.

Le cellule dendritiche usano ingoiare le proteine con le quali vengono a contatto per poi rigurgitarle, mezze digerite, sulla loro stessa superficie, esposte quasi fossero una decorazione. Queste proteine sono sottoposte allo scrutinio di un particolare tipo di cellula immunitaria, la cosiddetta cellula T.
Se incontra delle proteine per strada, la cellula T non le degna neanche di uno sguardo. Ma quando, di passaggio, si ferma a dare un’occhiata alle stesse proteine esposte sulla cellula dendritica, mostra un vivo (e  vibrante) interesse, come chi va al mercato delle pulci a comprare roba che non si sognerebbe mai di raccogliere (gratis) dalla strada.

L’interesse della cellula T è pericoloso: se decide che la proteina non le piace, il che avviene di norma con le proteine "estranee", monta uno scandalo. Questo serve a proteggerci da virus, batteri e affini.
Tuttavia, se le proteine esposte dalla cellula dendritica provengono dall’intestino (e in particolare dal cibo) vengono presentate sotto una luce calda e rassicurante, che spinge le cellule T a mostrare una certa tolleranza verso di loro e a lasciarle in pace. Con il glutine, capita a volte che questo meccanismo di tolleranza del sistema immunitario intestinale non funzioni.
 
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Senza glutine: libri, biliardo, pozzanghere, smartphone, bicchieri, intolleranza. Da toothpaste for dinner.
Le proteine del glutine (come tutte le altre) non vengono sventolate sulla superficie delle cellule dendritiche così come sono. Vengono prima sminuzzate e poi caricate su dei supporti che le tengono legate alla cellula. Questi supporti però non fanno solo da sostegno, ma anche da “sfondo” alle proteine. Di conseguenza, a seconda del tipo di supporto sul quale è caricata, una proteina può suscitare reazioni contrastanti nelle cellule T.

Questi supporti esistono in talmente tante varianti da fare concorrenza alle custodie per cellulari. Quali supporti possiede ognuno di noi, lo decide il nostro DNA. I celiaci hanno la sfortuna di possedere, tra le tante, una variante infida che, caricata con le proteine del glutine, mette in estrema agitazione le cellule T.

Quando la presenza del glutine è continua, le cellule T si irritano talmente tanto che a un certo punto escono fuori di melone e vengono assalite da  smanie omicide. Loro, però, non sono capaci di uccidere. Per questo assoldano delle cugine (anche loro cellule T), che di mestiere fanno i sicari. Sicari di solito scrupolosi, che uccidono solo quando serve, ma che nella generale folle atmosfera causata dal glutine, si trasformano in assassini indiscriminati. A farne le spese sono le povere cellule intestinali, che muoiono a grappoli. A causa di questa moria, l’intestino perde la sua mirabile organizzazione e va in estrema sofferenza, soffocato dalla massiccia invasione di cellule T killer.

Per la celiachia non si conoscono cure. Ma se si elimina il glutine dalla dieta, nella stragrande maggioranza dei casi l’infiammazione si spegne, le cellule T assassine se ne tornano a casa, e l’intestino recupera le sue sembianze e funzioni.

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